XII. Eresie
escatologiche tardomedievali nel regno teutonico
Nelle considerazioni finali della sua opera fondamentale
Das kommende Reich des Friedens Bernhard
Töpfer riporta una frase del francescano Giovanni dalle Celle, che attorno al
1380 scriveva a proposito dei fraticelli impazienti nell'attesa di un mondo
migliore e animati da spirito gioachimita: «Chostoro dichono che il mondo si
dèe rinovellare, e io dicho che dèe rovinare»[1].
Da questa marcata contrapposizione fra un'attesa tradizionale del futuro avente
come punto finale la fine del mondo, ed una di tipo millenaristico, orientata
invece ad un rinnovamento del mondo, emergono due constatazioni di rilievo:
1. che gli annunciatori tardomedievali del sogno di un
mondo migliore realizzabile già su questa terra consideravano lo scenario
catastrofico del giudizio universale, costantemente presente anche ai loro
occhi, come semplice stazione di passaggio lungo la via che porta all'evento
veramente decisivo nell'atto ultimo della storia dell'umanità; inoltre
2. che quest'attesa per così dire secolarizzata della salvezza non era
conciliabile con la dottrina della fede cristiana inaugurata da sant'Agostino,
secondo cui questo mondo, da sempre comunque miserevole, sarebbe destinato
necessariamente (222) a finire, e una speranza di salvezza ideale
potrebbe essere riposta solo nell'al di là, non in questa vita terrena.
Erano
dunque per questo eretici coloro che cercavano il paradiso già qui su questa
terra? Era un'eresia escatologica l'idea di un regno di pace atteso per la fine
dei tempi? Vedremo più avanti che questa fu l'opinione prevalente nella maggior
parte dei casi, per lo meno nella forma in cui tale idea si presentò ai
contemporanei. L´ambito geografico entro il quale circoscriveremo la nostra
indagine sarà il «regno germanico», in tendendo con ciò il regnum teutonicum nella
sua accezione medievale. Il periodo storico considerato è il tardo Medioevo,
per cui si ha già un dato oggettivo:
non sembrano esservi state in epoche precedenti nel regnum teutonicum idee millenaristiche e, per essere più precisi,
le prime idee di questo tipo si incontrano, per quanto ne so, solo a partire
dal XIV e XV secolo (prescindendo naturalmente dall'atmosfera di ottimismo
escatologico, peraltro ancora poco chiara, presente nel passaggio da un
millennio all'altro)[2].
Ci chiederemo allora: di che genere di casi si trattò? Quale fu il grado di
diffusione del fenomeno? Quale il suo peso storico? Dove erano le sue radici e
quali furono le vie attraverso cui si diffuse? In altri termini, ci si deve
accontentare di portare alla luce un contesto semplicemente fenomenologico e
legato alla storia delle idee, oppure si possono identificare almeno
determinati strati portatori di queste idee, o ancora, è possibile stabilire in
base a spazio, tempo e cerchia di persone addirittura una sorta di continuum storico-politico in cui il
millenarismo prese forma nel regnum
teutonicum ?
I.
Inizieremo dunque con il chiederci di che genere di casi
si trattò.
Ebbene, dal punto
di vista quantitativo si trattò di un numero infinitamente limitato! Se si
prescinde da opere quali la (223) Reformatio Sigismundi, dove
l'attesa profetica dell'azione riformatrice ad opera di portatori di pace
escatologici quali un Friedrich von Lantnewen o il sacer pusillus di cui
si parla in 4 Esdra 16,53, rimase così indeterminata da non far neppure
insorgere il sospetto di eresia[3]
si possono rinvenire nel regnum teutonicum tardo medievale quattro casi
di millenarismo discretamente testimoniati, in cui si ritenne di dover ridurre
al silenzio i relativi esponenti. Nel più noto e importante di questi casi va
preso cum grano salis addirittura il termine "tedesco": mi
riferisco ai Taboriti cechi, esponenti di una corrente
millenaristico-avventistica estirpata nel 1421 e ruotante attorno a Martin
Húska e Petrus Kániš. Negli altri tre casi[4]
nemmeno i nomi dei protagonisti sono comunemente noti, e questo non va visto
come prova di scarsità di pubblicità ma come indice della poca rilevanza dei
casi stessi. Infatti, chi ha mai sentito parlare del francescano Friedrich von
Braunschweig che nel 1392 a Spira venne condannato (chiaramente con la
collaborazione di alcuni membri del corpo docente di Heidelberg) al carcere a
vita a soli pane e acqua, perché considerato «apostata e eresiarca»? Oppure,
chi conosce il laico Nikolaus von Buldesdorf, che lo stesso concilio di Basilea
condannò e mandò al rogo nel 1446 ritenendolo «pseudoprofeta e seduttore del
popolo di Cristo, nonché eretico caparbio e irriducibile»? 0 infine la setta
dei Wirsberghesi, il cui nome deriva dalla località di Wirsberg in Alta
Franconia, luogo da cui proveniva un ramo della famiglia residente nei dintorni
di Eger? Questo ramo aveva prodotto due fratelli, Livin e Janko, il primo dei
quali, vassallo del «re degli eretici» (224) boemo Giorgio di Podiebrad, fu condannato nel 1467 dal suo vescovo
della diocesi di Ratisbona Heinrich von Absberg (1465-1492) alla prigione, dove
morì solo poco tempo più tardi.
Non è dunque molto. Difficilmente si può pertanto parlare
di una particolare diffusione del fenomeno, sebbene si possano contare un
numero di casi più elevato di quelli qui ricordati; rimane comunque il fatto
che solo nel caso dei Taboriti e dei Wirsberghesi il luogo in cui avvenne la
loro condanna indica anche la loro sfera d'azione.
Prima di
essere arrestato Friedrich von Braunschweig insegnò a Weissenburg in Alsazia, e
prima ancora a Hildesheim e «in altre città della Sassonia»; fra i suoi seguaci
vi erano addirittura il decano della collegiata di san Guido di Spira e due vicari.
Di questi non si conosce tuttavia nemmeno l'identità e l'intera vicenda ci è
nota solo grazie a due testimonianze latine e ad un frammento riguardante lo
svolgimento del suo processo[5].
Paragonato alla limitatezza regionale dell'attività di Friedrich von
Braunschweig, Nikolaus von Buldesdorf[6]
appariva come uno che aveva girato il mondo intero per quanto riguarda
l'annuncio dei suoi insegnamenti; pare infatti che egli sia stato attivo in
«Germania, Francia e Spagna» e abbia avuto in questi paesi numerosi
sostenitori, prima di presentarsi al concilio di Basilea, esorcizzato da Dio e
dai (225) suoi santi, in particolare dal santo Emmeramo e
dall'imperatore Enrico, per far sì che la sua missione irrompesse per così dire
nel cuore della cristianità. Il suo intento non ebbe naturalmente successo: fu
rinchiuso in carcere per lunghi anni, i suoi insegnamenti furono sottoposti al
vaglio di una severa verifica, furono ritenuti estremamente sospetti, eretici e
falsi, si cercò di ricondurre Nikolaus sulla via della fede giusta e quando
questo tentativo fallì lo si processò cogliendo un momento propizio per la
politica ecclesiastica allo scopo di dar prova a tutto il mondo della capacità
di azione di cui di sponeva ancora il concilio. Nemmeno il processo dinnanzi ad
un tribunale così importante servì a dare pubblicità a Nikolaus e ai suoi
insegnamenti: oltre al testo originale della sentenza di condanna ne sono state
conservate tre copie. Dei fatto fornisce informazioni più abbondanti un breve
riassunto in tedesco contenuto nella Bassler
Chronik di Christian Wurstisen, terminata e stampata naturalmente solo nel
1580. Nelle formule convenzionali di chiusura della sentenza di condanna si
trovano richiami a formulazioni corrispondenti contenute nella sentenza di
condanna che i padri conciliari di Costanza avevano pronunciato nei confronti
di Johannes Hus. Questo è l'unico punto di riferimento riscontrabile fra i due
casi. Johannes Hus e Nikolaus von Buldesdorf furono condannati con modalità
analoghe da un'assemblea conciliare, ma fra i due casi c'è un abisso per quanto
riguarda l'effetto scatenato. Questo vale del resto non solo per Nikolaus:
anche al concilio ormai agonizzante di Basilea si potrà ascrivere il medesimo
grado di importanza, o meglio la stessa irrilevanza, che si può attribuire al
«pseudoprofeta ed eretico» che esso condannò.
La
questione dell'efficacia dei Wirsberghesi si presenta solo in apparenza diversa[7].
Pare che essi si siano vantati del fatto di potersi opporre a qualsiasi
principe, soprattutto al duca di (226) Baviera, e fra i loro sostenitori
deve esserci stato addirittura un vescovo vero e proprio - forse quello di
Gurk, se la mia interpretazione delle fonti documentarie qui particolarmente
enigmatiche risulta essere corretta. Rimane comunque certa la notorietà del
loro caso: ad essa provvidero essi stessi con lettere inviate all'università di
Lipsia, di Erfurt e di Vienna, persino all'imperatore. Pare che a Erfurt ci si
sia addirittura presi la briga di confutare per iscritto i loro insegnamenti in
una sorta di Quaestio quod1ibetaria,
opera dell'erudito eremita agostiniano Johannes von Dorsten. Alla
diffusione degli insegnamenti dei Wirsberghesi contribuì anche il legato
pontificio Rudolf von Rüdesheim, la cui lettera monitoria indirizzata ai suoi
colleghi di Ratisbona, in cui li invitava caldamente a intraprendere una
qualche azione contro i fratelli di Wirsberg, sembra aver avuto grande
circolazione. Si ha come l'impressione che egli stesso o almeno certe
diramazioni della tradizione manoscritta abbiano mescolato quanto conoscevano
sui Wirsberghesi con materiale di tutt'altro genere, cosicché presero a
circolare a proposito di questa setta idee estremamente confuse, tanto che solo
di una cosa i contemporanei parvero essere certi: del grande pericolo proveniente
così si riteneva dai Wirsberghesi che
miravano alla distruzione della Chiesa intera, sostenuti da «un gran numero di
nobili e di gente comune, addirittura da intere città e regioni»[8].
Inutile risulta la ricerca di tracce di un effetto concreto immediato; lo
scalpore sollevato dal legato pontificio appare come un prodotto del generale
isterismo ussita, se non proprio espressione di pura propaganda contro il «re
de gli eretici» Podiebrad, nella cui sfera - e dove altrimenti? - (227) avrebbero
potuto prosperare simili intrighi di minaccia per la Chiesa.
Di
efficacia storica parlerei solo nel caso dell'ala millenaristica dei Taboriti[9],
evitando tuttavia anche qui di suscitare idee esagerate: quando la rivoluzione
a Tabor divorò i suoi figli, essa uccise - come è stato tramandato - 75 delle
circa 200 persone che avevano dovuto abbandonare Tabor[10].
Questo è molto, ma non si deve dare a questo fatto un peso eccessivo, poiché
anche nelle lotte interne fra le varie correnti dei Taboriti non si trattava
solo di questioni millenaristiche, come ci vuol fare credere il resoconto
contemporaneo.
Il
bilancio finale dell'efficacia delle idee e degli esponenti delle idee
millenaristiche in rapporto a numero, tempo e spazio non potrà dunque che
recitare come segue: complessivamente modesto! Nella sua manifestazione e nel
suo significato storici il millenarismo rimane un fenomeno confuso e vago; le
comparse sulla scena di profeti escatologici sono sporadiche e lungi dal
rappresentare un continuum storico,
le regioni toccate da questo fenomeno sono scarsamente individuabili se si
prescinde dal caso unico della Boemia, e per quanto riguarda il grado di
adesione ad esso - di cui taluni si scandalizzavano, altri invece si vantavano
- spesso non si sa con certezza se per caso non si sia trattato semplicemente
di dicerie gonfiate all'eccesso.
II.
L´immagine di questo fenomeno avulso da ogni contesto, isolato e sparso,
muta non appena si prendano in esame gli inse(228)gnamenti e ci si chieda in quali strati
sociali vadano ricercati i suoi esponenti e propagatori.
Anzitutto qualche accenno agli insegnamenti! Comincerò da
Friedrich von Braunschweig, l'esempio più precoce: egli prediceva una fine del
mondo imminente[11] e sosteneva
che nel giro di quattro o al massimo quattro anni e mezzo avrebbe iniziato a
predicare l'Anticristo, e che con la sua comparsa avrebbe avuto inizio secondo
la dottrina tradizionale la fine del mondo. Meno tradizionale, anche se non
frutto della inventiva di Friedrich, è l'idea del decorso drammaturgico della
fase ultima della storia del mondo. La tradizione faceva infierire per un certo
periodo l'Anticristo, più o meno frenato da forze come quella dell'ultimo
imperatore o dei profeti risorti dell'Antico Testamento Elia e Enoch, dopo di
che nell'istante del massimo trionfo anticristiano sarebbe venuta la
catastrofe, richiamata dall'arcangelo Michele o dallo stesso Cristo e sfociante
nel giudizio universale con la resurrezione dei morti e la redenzione della
storia terrena attraverso l'inizio dell'eternità, per gli uni in cielo e per
gli altri all'inferno[12].
Diversa
è la concezione di Friedrich: egli distingue fra una prima e una seconda
parusia di Cristo. Nella prima si assisterebbe all'eliminazione dell'Anticristo
e ad una resurrezione parziale, precisamente alla resurrezione dei martiri e
dei loro assassini, gli uni destinati alla gloria, gli altri al tormento; si
imporrebbe così sulla terra un regno di pace millenario, governato dalla «legge
dell'amore e della benevolenza, vale a dire dello Spirito Santo»[13].
Seguirebbe poi il secondo ritorno di Cristo con la resurrezione di tutta
l'umanità e il giudizio universale finale.
Questo è
quanto riguarda lo schema millenaristico escatologico di Friedrich,
naturalmente già presente nell'Apocalisse di Giovanni[14],
ma ripreso e rinnovato in età medievale per la (229) prima volta da
Gioacchino da Fiore. É proprio a partire da quest'ultimo che si incontra
ripetutamente l'idea di un interregno ideale su questa terra, collocato a metà
fra il presente oscuro, evolventesi inesorabilmente verso la catastrofe, e lo
stato di eternità al cospetto di Dio o del diavolo. Anche l'idea che quest'era
sottostia alla legge dello Spirito Santo è da ricondurre a Gioacchino da Fiore,
per il quale rappresenta addirittura - su questo non occorre che mi soffermi
oltre - il perno della sua teologia della storia. Il progetto di Friedrich von
Braunschweig si inserisce dunque in una tradizione che, se non può essere
definita approvata dalla Chiesa, era comunque moneta corrente ai tempi di
Friedrich.
Non
altrettanto antica, ma anch'essa presente già prima di Friedrich, è l'idea che
la nuova era del mondo - inaugurata dall' eliminazione dell'Anticristo-,
migliore rispetto alla precedente, non debba, in quanto in realtà ancora tempo
terreno, essere plasmata e causata per così dire dal Cristo stesso, il quale
troneggia in ultimo assai lontano dagli eventi, alla destra di Dio in cielo, ma
da una sorta di suo sostituto. A questa figura che funge da guida escatologica
- secondo Friedrich una humilis persona dell'ordine francescano
spetterebbe per tutto il tempo millenario della nuova era l'autorità di papa e
di imperatore. Friedrich definisce questa figura come reparator,
«innovatore», e di questi egli si sentiva precursore - una specie di Giovanni
Battista insomma.
Riguardo al termine reparator, usato qui per
indicare la figura escatologica simile a quella del messia, esiste, per quanto
ne so, solo un parallelo in cui, anche qui per la prima volta in età medievale,
il millenarismo compare nel senso letterale die termine: si tratta dell´opera
dello spirituale francescano Jean de Roquetaillade, che dal 1349 fino a circa
il 1360 languì nel carcere di Avignone, e lì sotto gli occhi di papa e
cardinali compose le sue opere profetiche poi ampiamente lette[15];
una sorte insolita, chiaramente determinata dal fatto che i suoi (230)
carcerieri non sapevano bene come classificare la loro vittima: se come un
pazzo, un eretico o, secondo quanto egli sosteneva di essere, come colui che
non proprio nelle vesti di profeta, ma comunque «per inteligentiam
prophetarum», annunciava le proprie idee[16].
Gli insegnamenti di Friedrich von Braunschweig vanno
considerati dunque come riflesso dell'opera profetica del suo confratello Jean
de Roquetaillade nel quale egli - senza dover ricorrere direttamente a
Gioacchino da Fiore - poteva trovare del resto anche lo schema di una duplice
parusia di Cristo e di un duplice giudizio, con un periodo di pace in mezzo; la
scarsità di notizie contenute nel resoconto della condanna di Friedrich non consente
di stabilire se egli abbia ricalcato nei minimi particolari gli insegnamenti di
Jean, oppure se li abbia elaborati in maniera creativa. L´osservazione secondo
cui l'influenza di Friedrich sui suoi seguaci ecclesiastici sarebbe stata tale
che essi avrebbero cambiato e glossato in termini nuovi i loro testi biblici[17]
potrà allora essere intesa anzitutto come applicazione del ruolo escatologico
di Cristo al reparator quale nuovo
messia, pari allo stesso Cristo. Nel caso in cui tale interpretazione si riveli
corretta si avrebbe motivo ulteriore per ritenere Jean de Roquetaillade il
modello ispiratore, dato che nel suo scritto Vade mecum in tribulatione interpretazioni di questo genere
ricorrono abbondanti[18].
Forme
analoghe di reinterpretazione delle affermazioni esca(231)tologiche
contenute nella Bibbia e tradizionalmente riferite a Cristo si trovano in
maniera esplicita anche nei due altri casi, in cui si ritrova uno scenario
escatologico abbastanza simile a quello ideato da Friedrich: ci riferiamo a
Nikolaus von Buldesdorf e ai Wirsberghesi.
Nikolaus
von Buldesdorf[19] era di
indole più temeraria di Friedrich von Braunschweig. Era convinto di essere lui
la guida escatologica che avrebbe portato alla nuova età del mondo ormai
prossima; richiamandosi a Gioacchino da Fiore più che a Friedrich von
Braunschweig, egli definì l'era che sarebbe arrivata come «septimum seculum hic
in terra futurum», rientrante nel «terzo testamento», soggetta allo Spirito
Santo, paragonata al Liber vitae, il
Libro della vita dell'Apocalisse di Giovanni, in cui con maggiore
perfezione sarebbero state rinnovate la legge, la vita e la croce di Cristo
rispetto alla descrizione fatta dai quattro evangelisti[20].
Cristo infatti avrebbe solo posto i semi per il Vangelo, mentre a portarlo a
compimento sarebbe stato un "pastore angelico" (pastor angelicus), lui stesso, Nikolaus von Buldesdorf. Sebbene
fosse un semplice laico, Nikolaus deve aver scritto e diffuso una serie di
opere prevalentemente esegetiche sulla figura di questo pastore angelico e sul
suo compito escatologico; fra i titoli di queste ricordiamo qui i Testimonia
spiritus sancti in prophetiis, interpretazioni
del Padre Nostro, del Salterio, dell'Apocalisse e in generale di «altri libri
dell'Antico e del Nuovo Testamento». Già dai titoli si ricava senza fatica - e
questo è chiarito da una serie di citazioni o parafrasi - che gli sforzi
esegetici di Nikolaus si rivolsero in prima linea a reinterpretare riferite al pastor angelicus tutte le affermazioni
antico e neotestamentarie riferite dalla teologia tradizionale a Cristo il
Messia; il pastore angelico viene dunque descritto press'a poco come un alter ego di Cristo sulla terra, anche
se dalla svariate definizio(232)ni che di esso vengono date - «figlio di
Dio, Dio egli stesso» («filius dei, ymo deus»), «figlio adottivo di Dio»
(«filius dei adoptivus») oppure, in parte in contrasto con quanto appena detto,
«figlio naturale di Gesù Cristo» («filius naturalis lesu Christi»)-, non sempre
risulta chiaro se nel suo ruolo di pastore angelico Nikolaus si sentisse più
come rivale di Cristo o come suo compagno. Solo una cosa è chiara: obiettivo
esplicito di Nikolaus era l'elaborazione sistematica e dettagliata dell'idea di
un'età di pace, un tempo sabbatico, che in maniera peculiare riunisse in sé elementi
della vita terrena con quelli di un'esistenza celeste nell'al di là, un tempo
modellato sulla base del quadro delle idee del tempo e del mondo dopo il
giudizio universale; prima o poi questo tempo sarebbe venuto e intanto l'età
ideale su questa terra avrebbe dovuto formare una fase preparatoria con
condizioni esistenziali assai analoghe.
Il
modo in cui avrebbe dovuto configurarsi questa età di pace veniva recuperato
dalla Bibbia, e precisamente dal Libro della Genesi. In altre parole ci si
rifece semplicemente alla descrizione della vita nel paradiso prima del peccato
originale. Conformemente a ciò le caratteristiche principali della nuova età
sarebbero le seguenti: l'immortalità dell'uomo, lo stato di innocenza che
consente vincoli matrimoniali come fra Adamo ed Eva, una vita senza
tribolazioni. La descrizione della futura età di pace sulla terra non si spinge
molto più in là.
La costruzione del modello
dell'escatologia ideale alla fine della storia dell'umanità collegato allo
schema trifase di Gioacchino da Fiore portava tuttavia, ben oltre la
corrispondenza pastor angelicus/Cristo, ad un'ulteriore costruzione
analogica: anche la storia della Chiesa doveva venir ricondotta alla sua
origine, il che non significava alla Chiesa delle origini dei primi cristiani,
bensì alla sinagoga ebraica[21].
Si tratta di (233) un'affermazione assolutamente sorprendente se si
pensa al processo di demonizzazione subentrato nell'immagine ebraica alla fine
del Medioevo. Desidero riportare al riguardo ancora una sola frase: «Attraverso
il pastor angelicus, che gli ebrei
chiamano Messia, pur non conoscendolo, essi vengono [gli ebrei] liberati dalla
prigionia, e a lui come ad essi verrà concesso il dominio su tutta la terra»[22].
Questo corrisponde abbastanza esattamente ad una determinata interpretazione
della celebre promessa talmudica del Messia, secondo cui la differenza fra
questo mondo e i giorni del Messia consisterebbe nello «stato di schiavitù
rispetto al governo»[23],
tradizionalmente intesa come cessazione della dominazione straniera sul popolo
ebraico, ma anche come capovolgimento della situazione esistente[24].
Volendo
ricercare le origini di una siffatta concezione ci si troverà rinviati per un
verso alla tradizione corrente di una conversione degli ebrei alla fede
cristiana alla fine dei tempi, il che spiega però solo il motivo per cui gli
ebrei abbiano un posto nello scenario di una escatologia. La posizione di
Nikolaus ci viene chiarita un po' meglio dalla teoria, attribuita anche
a Friedrich von Braunschweig, di una restituzione degli ebrei quoad temporalia all'avvento della fine
dei tempi[25] (234)
anche se Friedrich pensava al tempo dell'avvento dell'Anticristo (se
l'interpretazione che di Friedrich hanno dato i suoi giudici è corretta), e
questo andrebbe visto come segno dell'assurdità del mondo, non della sua
idealità.
Ma al di
là di tutto questo, per quanto il ruolo degli ebrei e della sinagoga del nuovo
tempo ideale possa apparire costruito in termini sorprendenti, addirittura
rivoluzionari per la mentalità medievale-cristiana, la domanda che ci si pone è
quale sia il grado di originalità di questa concezione di Nikolaus. Infatti in
questa stessa direzione si muove gia un'osservazione contenuta nel libro di
culto degli spirituali francescani che circolò in varie edizioni sotto il
titolo Super Hieremiam a nome di
Gioacchino da Fiore. Nella sua prima stesura, che dopo gli studi innovatori di
Robert Moynihan si può attribuire con una certa probabilità ancora al tempo
immediatamente successivo alla morte di Gioacchino, se non a lui stesso, in un
passo in cui si parla del tempo sabbatico dopo la sesta età si legge[26]:
«Ritengo che questa vita non sarà tanto un ritorno ai greci, bensì agli ebrei,
affinché là, da dove la grazia iniziò il suo cammino, essa trovi anche la
propria pro(235)secuzione in forma più alta». Senza dubbio è qui che va
ricercato il punto di partenza dell'idea di Nikolaus von Buldesdorf di una
riconduzione della storia salvifica alle sue origini ebraiche alla fine dei
tempi[27].
Ciò non
significa necessariamente che Nikolaus abbia letto il commento di Geremia e
muovendo di lì abbia poi sviluppato le proprie idee. Riteniamo piuttosto di
trovarci di fronte all'anello iniziale e a quello finale di una catena della
tradizione ben più lunga, di cui non siamo ancora in grado di individuare gli
anelli centrali. La ricerca si muove qui totalmente nel vago e ci potrebbe
riservare ancora qualche sorpresa. Fin d'ora possiamo comunque supporre come
anello di congiunzione il commento all'Apocalisse di Pietro di Giovanni Olivi,
di cui a tutt'oggi non esiste ancora un'edizione. Che Nikolaus von Buldesdorf
conoscesse questo testo - magari anche solo in modo frammentario - è provato da
una curiosa coincidenza della sua sentenza di condanna con un passo di
quest'opera. Si tratta dell'affermazione secondo cui, come nell'età sesta, dopo
il rifiuto dell'ebraismo carnale e della precedente età ormai vecchia, subentrò
un ordine nuovo, alla cui guida era Gesù Cristo con una legge, una vita e una
croce nuove, così nell'età settima comparirà, dopo il rifiuto della Chiesa
carnale di Cristo e dell'età precedente ormai invecchiata, un ordine nuovo
guidato da una forza nuova, il pastore angelico, in cui verrebbero rinnovate la
legge, la vita e la croce di Cristo[28]
- questa affermazione deriva quasi alla let(236)tera da Olivi[29].
Non furono i giudici di Nikolaus i primi a riconoscere il carattere eretico di
questa affermazione, dato che essa figura già fra i primi passi dell'opera di
Olivi incriminati nel 1319 da una commissione formata da otto teologi e che
portarono nel 1326 alla condanna definitiva del commento all'Apocalisse di
Olivi[30].
Non è
comunque pensabile che solo per questa via indiretta (e cioè attraverso un
questionario inquisitorio corrispondente) questa frase sia finita nella
sentenza di condanna di Nikolaus[31].
Infatti nelle dottrine di Nikolaus non si trovano tracce di ulteriori frasi di
Olivi condannate. Un intero vocabolario del terzo testamento, del Liber vitae etc. tradisce piuttosto
l'influenza che su Nikolaus ebbero gli insegnamenti gioachimiti, e dì questo la
ricerca deve ancora occuparsi; si tratta di un compito alla cui soluzione io
stesso mi auguro di poter portare un piccolo contributo. A tale scopo non è
assolutamente indispensabile supporre una conoscenza diretta del commento all'Apocalisse
di Olivi; sappiamo invece che nelle loro passeggiate gli spirituali francescani
non si ricreavano solo con la lettura di libri relativamente voluminosi, uno
dei quali era appunto la Lectura in
Apocalypsim di Olivi, ma portavano con sé piccole raccolte di excerpta, risalenti al passato (237) a
loro più vicino, in cui si trovavano le cose principali presumibilmente o
realmente attribuibili ai grandi pensatori del passato[32].
Uno dei desiderata della ricerca e proprio quello di comprendere in maniera
sistematica questo tipo di letteratura, che circolava per cosi dire
clandestinamente fra gli spirituali francescani del XIV secolo.
La
realizzazione di questo obiettivo ci
consentirebbe certamente di fare un notevole passo in avanti nella conoscenza
delle fonti relative al mondo escatologico di un Friedrich von Braunschweig e
di un Nikolaus von Buldesdorf. Tutte le tracce di cui disponiamo rinviano
infatti agli spirituali francescani e al loro mondo, quali portatori delle idee
di un regno di pace qui sulla terra alla fine dei tempi; lo stesso Friedrich
von Braunschweig era certamente un francescano[33]
e Nikolaus von Buldesdorf fa intuire già solo con il collegamento del suo
insegnamento al commento all'Apocalisse di Olivi quale fosse (238) la
provenienza delle sue idee; anche fra i Wirsberghesi, dei quali verremo ad
occuparci ora, vi erano dei francescani.
Dei due
fratelli di Wirsberg[34],
Livin, che morì nella prigione del vescovo di Ratisbona fra il 1467 e il 1469,
era un laico, e lasciò moglie e figli. Di lui ci è pervenuta una serie di
lettere[35]
dalle quali si ricava come originariamente egli non avesse nulla a che fare con
le eresie di cui venne ritenuto colpevole; si espose solo per proteggere il
fratello Janko, il quale sembra essere stato la forza veramente trainante. La
figura di quest´ ultimo è enigmatica: non si sa né che fine fece - dopo il 1466
scompare semplicemente dalle fonti -, né si può dire con certezza al momento se
fosse laico o religioso. Pare tutta via certo che se anche non fu francescano,
fu comunque in stretti rapporti con il convento dei francescani di Eger, che in
quell'epoca ebbe a far fronte a disordini e attacchi - provenienti soprattutto
dalla cerchia dei conventuali francescani - in seguito all'introduzione
dell'osservanza. Nell'ambiente francescano di Eger Janko ricevette
evidentemente stimoli spirituali che lo spinsero a comporre degli scritti che
inviò al provinciale responsabile del convento di Eger a Freiberg i.S. per
ottenerne la approvazione. Quest'ultimo espresse naturalmente un giudizio
distruttivo in merito, minacciando Janko di intentargli un processo per eresia
qualora egli avesse diffuso ulteriormente gli insegnamenti contenuti in quegli
scritti[36].
Lo
schema che sorregge questi scritti è sempre lo stesso[37],
è (239) quello che già conosciamo da Nikolaus von Buldesdorf e da
Friedrich von Braunschweig: ci si troverebbe davanti all'avvento di un'età
nuova, anche qui detta «terzo e ultimo testamento», evocata da un «figlio
adottivo di Dio» («filius dei adoptivus») che qui non viene chiamato reparator
o pastor angelicus, bensì «unctus salvatoris», «unto dei salvatore», in
chiara analogia con il «Christus domini» biblico, «unto del Signore». Anche per
Janko, come per le figure del
reparatore del pastor angelicus - vengono rivendicati tutti gli
attributi biblici comunemente riferiti a Gesù Cristo. Anche qui - come in
Friedrich von Braunschweig - Cristo figura essere preceduto da un
"Giovanni", quale appunto riteneva di essere il wirsberghese Janko
(forma vezzeggiativa ceca per Giovanni). L´«unctus salvatoris» è - come il «pastor angelicus» di Nikolaus von
Buldesdorf - il «buon pastore» dei Vangelo di Giovanni, anch'egli governerà al
posto dell'imperatore, ma non al posto del papa, in quanto quest'ultimo è per i
Wirsberghesi nient'altro che l'Anticristo stesso, e il clero le sue membra.
Di conseguenza i beni della salvezza impartiti da un siffatto clero - come ad
esempio le indulgenze - sono privi di valore, le sanzioni ecclesiastiche quali
la scomunica non sono vincolanti; ci si può attendere salvezza solo dal
rapporto diretto Dio-uomo, in cui l'osservanza di forme esteriori –m ad esempio
delle forme liturgiche - viene sostituita da un sentìmento interiore. Questo
concetto si esprime ad esempio nell'invito a non pregare «vocaliter», «con la
bocca», bensì «mentaliter», «con la mente»[38].
L´atteggiamento di ostilità nei confronti del clero si estende anche alla
teologia; viene richiesta un'interpretazione letterale della Bibbia e l'opera
dei glossatori, vale a dire dell'intera tradizione della Chiesa, è considerata (240)
espressione di ebbrezza. Eventuali problemi esegetici verranno risolti dall'
«unctus salvatoris», il quale trasmetterà agli uomini la conoscenza in lui
piena di Dio e dei misteri della Trinità.
Sorprende
la frase in cui si sostiene che Dio avrebbe esortato l´ «unctus salvatoris» a
liberare lui, la divinità sofferente[39].
Dietro a questa frase sta l'idea che la storia del mondo incarni nella sua
peccaminosità la croce della divinità così come essa è simboleggiata nella
croce di Cristo, e che l´ «unctus salvatoris» libererà Dio dalla sua croce con
l'età nuova da lui evocata - un concetto questo di dimensioni e audacia
notevoli, ma ormai non più del tutto nuovo nella seconda metà del XV secolo, in
quanto espresso nella sostanza già un secolo e mezzo prima da colui che fu alla
guida degli spirituali francescani della Francia meridionale, Pietro di
Giovanni Olivi[40].
Con ciò
dovrebbe essere chiarito il contesto spirituale in cui vanno inseriti gli
insegnamenti dei Wirsberghesi. Risulterà chiaro però anche come il carattere di
dispersione, di mancanza di correlazione nell'entrata in scena dei tre maestri
di salvezza Friedrich von Braunschweig, Nikolaus von Buldesdorf e Janko di
Wirsberg tragga in inganno: tutti e tre sono annunciatori non solo delle
varianti di un'unica idea di fondo relativa alla fine dei tempi - il che, al di
là di spazio e tempo li collocherebbe semplicemente nel medesimo contesto
storico-spirituale[41]
-, ma lasciano tutti supporre di essere le(241)gati a un medesimo gruppo sociale, alla cui specifica
letteratura dottrinale richiamano tratti caratteristici delle loro dottrine. Si
può dunque postulare un flusso continuo del dibattito francescano-spirituale
anche in Germania, al più tardi a partire dalla seconda metà del XIV secolo, ma
probabilmente addirittura prima di questa data, i cui temi non contenevano solo
critica del clero e riforma radicale della Chiesa, ma soprattutto anche
l'elaborazione sempre più approfondita dell'idea scaturita da Gioacchino da
Fiore e sviluppata poi da Pietro di Giovanni Olivi, di un regno di pace sulla
terra alla fine dei tempi.
In
questo contesto si inseriscono anche i Taboriti, nonostante talune
differenze peraltro non irrilevanti. Il nesso di ordine ideologico risulta
evidente[42]; il ramo
millenaristico dei Taboriti riuniti attorno a Martin Húska espresse quasi negli
stessi termini della sentenza di condanna di Nikolaus von Buldesdorf l'attesa
di una duplice parusia di Cristo, di uno stato di pace paradisiaca che alla
fine dei tempi seguirebbe la prima resurrectio, allorché gli uomini
vivrebbero per sempre nello stato di innocenza adamitica, lontani dal peccato e
senza paura della morte, si unirebbero in matrimonio e darebbero vita a nuove
creature senza il senso del piacere proprio di chi si trova nel peccato, ma in
compenso anche senza le doglie del parto[43].
La
critica nei confronti della Chiesa e l'attesa apocalittica della fine dei tempi
corrispondono allo schema tradizionale. Colpisce la concordanza fra i
Wirsberghesi e i Taboriti nel (242) l'assegnare al fenomeno sociale
delle città - se pur con modalità diverse - un ruolo escatologico[44].
Inoltre, la stessa interpretazione estremamente letterale della Bibbia dei
Wirsberghesi, risalente in ultima analisi a Wyclif e a Hus (sebbene rispetto a
questi ultimi essi rifiutino ogni tradizione), si ritrova con la medesima
impronta radicale anche nei Taboriti
Non va
tuttavia trascurata la profonda diversità presente fra i due gruppi: nei
Taboriti non si rinviene alcuna traccia dell'idea di una figura escatologica
messianica in concorrenza con Gesù Cristo, né nelle vesti di reparator,
di pastor angelicus o di unctus salvatoris. Ma l'elemento che più di ogni altro distingue i Taboriti dai
profeti della fine dei tempi di impronta francescana e l'esagerato dinamismo,
capace di trasformarsi talora in violenza. E nota la brutalità spietata con cui
i Taboriti, ritenendosi «soldati di Dio», «boži bojovníci», uccisero i presunti
nemici di Dio. Nulla di analogo si trova in Friedrich von Braunschweig né in Nikolaus
von Buldesdorf, e i Wirsberghesi si dissociano addirittura espressamente
dall'uso della violenza nell'opera escatologica di conversione[45].
Come si
può definire allora la relazione esistente fra il ramo millenaristico dei
Taboriti e la fede escatologica radicata nell'ambiente degli spirituali
francescani? Va da sé che il diritto di primogenitura spirituale non può
spettare ai Taboriti, sebbene vi siano qua e là sia nell'impianto dottrinale di Nikolaus von Buldesdorf
che, ancor più, in quello dei Wirsberghesi, (243) alcuni elementi
singoli che tradiscono l'impronta tipica del millenarismo taboritico dal quale
potrebbero derivare[46].
Tuttavia, l'ideazione complessiva dell'avvento di un regno di pace alla fine
dei tempi è talmente simile allo schema afferrabile a partire da Jean de
Roquetaillade e Friedrich von Braunschweig[47],
da non poter pensare che i Taboriti si siano costruiti autonomamente questo
progetto sviluppando genuinamente il loro punto di partenza ecclesiastico
rivoluzionario[48] . Non
sarebbe privo di ironia scoprire che gli (244) ordini mendicanti,
perseguitati dagli Ussiti in generale e con particolare brutalità dai Taboriti,
contribuirono con il loro atteggiamento spiritualistico-francescano a produrre
la materia prima per l'elemento più radicale delle idee taboritiche[49].
Di fatto non mi pare di vedere tuttavia nell'ambito qui in esame altro strato
portatore dell'idea del regno di pace se non nel mondo francescano, per cui si
dovrà ammettere eventualmente il paradosso per cui furono le stesse vittime ad
affilare sul piano spirituale le armi con le quali vennero poi materialmente
uccise.
Concludendo:
in sé e per sé le eresie escatologiche che si incontrano nel regnum teutonicum del tardo Medioevo
sono fatti isolati e privi di particolare efficacia e rilevanza storica. Nel
loro complesso tuttavia esse si rivelarono come elementi sparsi di un puzzle,
associabile sul piano della storia dello spirito agli effetti della
speculazione escatologica di Gioacchino da Fiore e soprattutto di Pietro di
Giovanni Olivi, mentre dal punto di vista sociale è da collocare nell'ambiente
degli spirituali francescani. Visto in questa prospettiva ciò che si presumeva
essere un fatto isolato va considerato frammento di un contesto ben più ampio,
come parte di una corrente religiosa, nata nell'ordine francescano,
spiritualmente vicina a Gioacchino da Fiore e Pietro di Giovanni Olivi, e
carica di un inquieto desiderio nostalgico di declino, tramutantesi talora in
fanatismo, un declino che avrebbe dovuto rappresentare il passaggio ad un mondo
migliore.
Traduzione di Chiara Zanoni Zorzi
[1] B.
Töpfer, Das kommende Reich des Friedens. Zur EntwickIung chiliastischer
Zukunftshoffnungen im Hochmittelalter (Forschungen zur mittelalterlichen
Geschichte, 11), Bern 1964, p. 325, cit. da F. Tocco, L'eresia dei
Fraticelli e una lettera inedita del beato Giovanni dalle Celle, in F. Tocco, Studii Francescani, Napoli 1909, p. 482. Nelle pagine
seguenti le note saranno limitate solo alle indicazioni più utili al tema
trattato.
[2] A questo proposito si vedano ora
gli importanti e nuovi giudizi di J. Fried,
L'attesa della fine dei tempi alla svolta
del millennio, qui pp. 37 ss.
[3] Cfr. il testo dell'opera
nell'edizione curata da H. Koller,
in MGH, Staatsschriften des späteren
Mittelalters, 6, Stuttgart 1964, pp. 89, 326 ss., 332 ss., 342 s. Sul sacer pusillus si veda infine H. Thomas, Jeanne la Pucelle, das Basler Konzil und die ´Kleinen` der Reformatio
Sigismundi, in «Francia», 11, 1983,
pp. 319-339, con l'ardita tesi
secondo cui Giovanna d'Arco sarebbe stata per l'autore della Reformatio Sigismundi l'archetipo della
sua idea dei portatore di pace escatologico.
[4] In
merito a questi si veda infine A. Patschovsky,
Chiliasmus und Reformation im ausgehenden
Mittelalter, in Ideologie und Herrschaft im Mittelalter, hrsg.
von M. Kerner (Wege der
Forschung, 530), Darmstadt 1982, pp.
475-496.
[5] Il
testo è consultabile al meglio in Die
Amtsbücher der Universität Heidelberg, Reihe A: Rektorbücher der Universität Heidelberg, 1: 13861410, hrsg. von J. Miethke, Heidelberg 1986, pp. 29 s.
secondo il primo Amtsbuch della
facoltà giuridica (Cod. Heid. 362, 1 = Univ.Archiv Heidelberg 1, 3, Nr. 1; d'ora
in avanti A-160/1); non vengono prese in considerazione le testimonianze
contenute nel ms di Darmstadt 430 fol. 297r-v, né il testo tedesco frammentario
contenuto in Cgm 574 fol. 96v della Bayerische Staatsbibliothek, München. Su
Friedrich von Braunschweig si veda per il momento A. Patschovsky, Chi1iasmus,
cit., pp. 481 e 483, dove erronea mente
probabilmente per la gioia di Freud
dico che egli venne mandato al rogo.
[6] Su di lui cfr. A. Patschovsky, Chiliasmus, cit., dove alla nota 29 vengono date le informazioni
relative alla tradizione del testo della sua sentenza di condanna, di cui sto
curando l'edizione critica.
[7] Su di loro si veda soprattutto R. Kestenberg-Gladstein, The «Third Reich». A fifteenth century
polemic against Joachimism, and its background, in «Journal of the Warburg
and Courtauld Institutes», 18, 1955, pp. 245-295; alla nota 117 del testo or
ora ricordato si trovano indicazioni sulla letteratura meno recente e sulle
fonti, conosciute e edite in misura assolutamente insufficiente. Personalmente
sto lavorando alla loro riedizione critica e allo studio delle stesse; per ora
cfr. il mio saggio Die Wirsberger: Zeugen
joachitischer Geisteswelt, che uscirà negli Atti del IIIo
Congresso internazionale di studi gioachimiti.
[8] «... et nobiles et ignobiles in
magno numero, civitates insuper et terras multas in heresim duxerunt»: così nel
ms di Trier, Stadtbibliothek 1207/505 fol. 43r, che si basa su materiali
inviati da Rudolf von Rüdesheim all'abate del convento di St. Jakob presso
Magonza.
[9] A questo riguardo H. Kaminsky,
A History of the Hussite Revolution, Berkeley,
Los Angeles 1967, pp.
3 10 ss. e la Déjiny Tábora curata
da František Šmahel, il cui primo
volume, che arriva fino al 1421, è apparso nel 1988. Degno di attenzione è indubbiamente anche J. Macek, Tábor v husitskím revolucním hnutí, I, Praha 19562; II, 1955, qui soprattutto 11, pp. 43 ss.
[10] Lorenz
von Brezová, Historia Hussitica, ed.
J.
Goll, (Fontes rerum Bohemicarum, 5), Praha 1893, pp. 475 s.
[11] Cfr. per quanto segue il testo
indicato alla nota 5.
[12] É sufficiente qui il richiamo a R.
K. Emmerson, Antichrist in the Midd1e Ages, Washington 1981, pp. 74-107.
[13] «... lex caritatis et clemencie, hoc
est: erit lex spiritus sancti».
[14] Apocalisse 20.
[15] Cfr. J. Bignamie-Odier,
Études sur Jean de Roquetaillade
(Iohannes de Rupescissa), Paris 1952, pp. 20-25.
[16] Cfr. E. Brown, Appendix ad
Fasciculum rerum expetendarum et fugiendarum ab Orthuino Gratio editum Coloniae
A. D. MDXXXV, London 1690, p. 494.
[17] «... in hiis heresibus plures
clericos et laicos instruxit et eos docuit, ita quod crederent sibi magis et
firmius quam canoni biblie et doctoribus sanctis ab ecclesia approbatis, in
tantum, quod non suffecit eis in eorum dampnacionem hoc firmiter credere et
tenere et alios docere, sed ad tantam mentis vesaniam pervenerunt, quod textum
sacre biblie non solum abraserunt in pluribus passibus ut ab eo informati, sed
eciam in totum deleverunt vel ipsum falsum dixerunt vel scripturam in
marginibus apposuerunt ipsum textum ad eorum libitum trahentes».
[18] Cfr. ad esempio il Vade mecum in tribulatione, ed. E. Brown, Appendix, cit., pp. 500 s.
[19] Le citazioni che seguono si rifanno
al testo dell'edizione da me curata, la quale si basa sulla tradizione
dell'originale della sentenza nel ms Salamanca 10 fol. 107r-110v.
[20] «... liber vite, in quo renovabitur
Christi lex et vita et crux perfectius quam quatuor evangeliste scripserant».
[21] «Candelabrum ecclesie reibit ad
synagogam, et deus omnipotens transferet et movebit candelabrum ad ludeos, quos
ab inicio elegit. Ecclesia ex gentibus succumbet et convertetur retrorsum; et
synagoga assumetur, et ecclesia relinquetur. Sicut sanctus Paulus dixit Judeis (Actus
28,28): 'Quia hoc salutare dei datum est gentibus, et hoc ipsi audient',
sic angelicus pastor dicit ecclesie ex gentibus, quod presens salutare dei
dabitur Iudeis, et hoc ipsi audient».
[22] «Per angelicum pastorem, quem Iudei
Messiam appellant, sed non intelligunt, liberabuntur a captivitate dabiturque
illi una cum ipsis regnum tocius mundi».
[23] Talmud babilonese, sinedrio 91 b.
[24] Questa promessa era un topos
prediletto anche nella polemica cristiano ebraica dell'età medievale; cfr. su
ciò H. G. von Mutius, Die christ1ich-jüdische Zwangsdisputation zu
Barcelona. Nach dem Hebräischen Protokoll des Moses
Nachmanides (Judentum und Umwelt
5), Frankfurt - Bern 1982, pp. 218 ss.
[25] Rektorbücher Heidelberg 1, 30: «...
inciperet predicare Antichristus. Item hoc tempore restituerentur ludei quoad temporalia,
et Ierusalem ab eis reedificaretur». Questa è l'idea, a cui più si avvicina la
concezione sviluppata da Jean de Roquetaillade nel suo Liber secretorum eventuum di un trasferimento a Gerusalemme della
Chiesa di Cristo rinnovata e arricchita dagli ebrei convertiti. Devo
ringraziare qui, per avermi concesso di usare parti del testo di questo
scritto, Robert Lerner, con il quale André Vauchez e i suoi collaboratori
stanno preparando la prima edizione critica dell'opera.
[26] Super
Hieremiam, c.31: «Puto ego quod vita ipsa adhuc non tam
ad Grecos redeat quam ad ludeos, ut, inde cepit gratia, inde et laudabilius
prosequatur». La citazione è tratta dal testo contenuto nella dissertazione non
ancora pubblicata di R. Moyniban, il quale mi ha concesso di riportarla in
questa sede; si veda al riguardo R. Moynihan,
Joachim of Fiore and the Early
Franciscans: A Study of the Commentary Super Hieremiam, Diss. Phil., Yale 1988, p. 707; cfr. inoltre ibidem, p. 412. E
auspicabile che sulla base della critica della tradizione già avviata Moynihan
si occupi prima o poi anche dell'edizione di quest'opera fondamentale; per il
momento le stampe più antiche dell'opera (Venezia 1516 e altre) non possono più venir impiegate senza ricorrere al
lavoro di Moynihan anche a prescindere totalmente dall'inaffidabilità del
testo, in quanto solo qui sono suddivisi i vari strati dell'opera nella loro
probabile successione. Moynihan ha esposto i risultati principali del suo
lavoro in The Development of the
'Pseudo-Joachim' Commentary 'Super Hieremiam': New Manuscript Evidence, in
«Mélanges de l'École française de Rome. Moyen áge - temps modernes», 98, 1986,
pp. 109-142.
[27] Quanto costrittiva sia stata
considerata da contemporanei malevoli la conclusione insita nella dottrina
delle tre età di Gioacchino da Fiore, di una restituzione degli ebrei alla loro
antica posizione, risulta dai cosiddetti Excerpta dell'Evangelium aeternum 11,
7, hrsg. von E. Benz, in
Joachim-Studien, 11: Die
Exzerptsätze der Pariser Professoren aus dem Evangelium Aeternum, in
«Zeitschrift fur Kirchengeschichte», 51, 1932, p 420: «Septimus [sc.: error],
quod sicut filius operatur salutem populi Romani sive populi Latini, quia ipsum
representat, sic spiritus sanctus operatur salutem populi Greci, quia ipsum
representat; ac per hoc datur intelligi, quod pater salvum faciet populum
Iudaicum, quia ipsum representat».
[28] « Sicut in sexta mundi etate
reiecto carnali iudaismo et vetustate prioris seculi convaluit novus
ordo cum novo duce Iesu Christo cum nova lege vita et cruce, sic in septima etate mundi reiecta carnalium Christianorum ecclesia et vetustate prioris seculi convalescet
novus ordo cum novo duce, scilicet angelico pastore, in quo renovabitur Christi lex et vita et crux». Sono
riportati in corsivo i passaggi che coincidono con il testo di Olivi.
[29] Il testo corrispondente viene
riportato da M. Reeves, The Influence of Prophecy in tbe Later
Middle Ages. A Study in Joachimism, Oxford 1969, p. 198.
[30] Cfr. S. Baluze - J. D. Mansi,
Miscellanea, 2, Lucca 1761, p. 260a,
art. 9; si veda inoltre ibidem, p.
272a. Approfondisce poi la questione E. PASZTOR, Le polemiche sulla «Lectura super Apocalipsin» di Pietro di Giovanni
Olivi fino alla sua condanna, in «Bullettino dell'Istituto storico italiano
per il medio evo e Archivio muratoriano», 70, 1958, pp. 365-424, soprat tutto
pp. 368 ss.
[31] É questa una considerazione,
peraltro non priva di valide ragioni, che Robert Lerner fa in una lettera del
15 dicembre 1987. A questo punto vorrei ringraziare ancora, per una serie di
indicazioni e di suggerimenti, Robert Lerner, che ha seguito questo saggio con
vivo interesse.
[32] Di uno di questi libriccini si
riferisce e si riportano citazioni ad esempio da materiali del processo
tenutosi nel 1354 ad Avignone sotto la guida di Guillaume Court contro gli
spirituali francescani Giovanni di Castiglione e Francesco d'Arquata. È mia
intenzione dedicarmi assieme a Robert Lerner alla pubblicazione del materiale
finora in gran parte inedito di questo processo. Il sopra citato passo
dell'opera di Olivi si trova, fra l'altro, anche nel recentissimo Breviloquium super concordia Novi et Veteris
Testamenti: Western Mediterranean Prophecy. The School of Joacbim of Fiore and the Fourteenth Century Breviloquium, ed. by
H. Lee
- M. Reeves - G. Silano
(Studies and Texts 88), Toronto 1989, pp. 223 ss. Ringrazio Robert Lerner anche per questa indicazione. Non voglio in
questo momento pronunciarmi sul fatto se, come egli crede e come ci suggerisce
una più stretta corrispondenza del testo dell'Olivi (rispetto a quello
pubblicato da M. Reeves, The Influence of Prophecy, cit.), sia
stato trovato con questo Breviloquium il modello più immediato del passo. Non
disponiamo finora di un testo perfetto dell'Olivi e il Breviloquium costituisce probabilmente soltanto una delle
testimonianze della tradizione di questo passo. Anche Ubertino da Casale, per
esempio, ha citato questo passo, seppure in una versione molto distante dal
nostro testo; cfr. anche il confronto in G.L. Potestà,
Storia ed escatologia in Ubertino da Casale, Milano 1989, p. 91 nota 70.
[33] Ciò non è documentato espressamente;
parla comunque chiaro il fatto che egli abbia dovuto accettare «cappa Minorum
indutus et corda precinctus» pubblicamente la sua condanna al carcere perpetuo
a pane e acqua dinnanzi al duomo di Spira.
[34] Per quanto segue si veda in forma
riassuntiva R. Kestenberg-Gladstein,
The « Third Reich», cit., pp. 256 s.
Piú approfondita risulta l´analisi di 0. Schiff, Die Wirsberger. Ein Beitrag zur Geschichte der revolutionären
Apokalyptik im 15. Jahrhundert, in «Historische Vierteljahrschrift», 26,
1931, pp. 776-786. Su ciò d'ora innanzi A. Patschovsky,
Die Wirsberger, cit.
[35] Una
parte di queste fu resa nota da H. Gradl,
Die IrrIehre der Wirsperger, in
«Mittheilungen des Vereins für Geschichte der Deutschen in Böhmen», 19, 1880,
pp. 270-279
[36] Testo della lettera dei 27 maggio
1466 per estratto ibidem, p. 272.
[37] Le due fonti principali per
l'insegnamento dei Wirsberghesi: la lettera di Rudolf von Lavant al vescovo di
Ratisbona Heinrich von Absberg così come la lista dei loro articoli di fede
resa nota da quest'ultimo, possono essere consultate soprattutto nella Chronik di Nikolaus Glassberger, in«Analecta Franciscana», 2, 1887, pp.
422-426.
[38] A questo riguardo W. Hobener, «Oratio mentalis» und «Oratio vocalis» in der Philosophie des 14. Jahrhunderts,
in Sprache und Erkenntnis im Mittelalter. Akten des VI. Internationalen
Kongresses für mittelalterliche Philosophie der Société internationale pour
l'étude de la philosophie médiévale, 29. August bis 3. September 1977 in Bonn, hrsg. von J. P. Beckmann u. a. (Miscellanea
Mediaevalia, 13), Berlin-New York 1981, pp. 488-497.
[39] Cfr.
la lista di articoli edita da G. Ritter,
Zur Geschichte des häretischen
Pantheismus in Deutschland im 15. Jahrhundert, in «Zeitschrift für
Kirchengeschichte», 43, 1924, pp. 158 s. da Vat.Pal.lat. 870: «Nonus: quod
sacratissima deitas propter peccata nostra gravissime paciatur et passa sit a
principio mundi usque ad presens». Leggermente diversa risulta la versione
in Clm 18930 fol. 84v: «Deitatem dicit pati. Deus eum invocat, ut
liberet eum». Nikolaus Glassberger,
Chronik, cit.: «Quod Deus patiatur
magnis passionibus et quotidie invocet hunc unctum, ut veniat et liberet eum de
suis passionibus».
[40] Si veda E. Benz, Ecclesia
Spiritualis, Stuttgart 1934, pp. 256-332, soprattutto pp. 273 s., 285, 300
ss.
[41] In
questo senso li colloca R. Kestenberg-Gladstein,
The «ThirdReich”,
cit., pp. 254 ss.
[42] Questo è del resto accettato
unanimemente dalla ricerca; cfr. ad esempio H. Kaminsky, A History of
the Hussite Revolution, cit., pp. 352 ss.; «Déjiny Tábora», 1,
1988, pp. 249 ss., oppure R. Kestenberg-Gladstein,
The « Third Reich»,
cit., passim.
[43] Fra le numerose fonti, naturalmente
assai eterogenee nella loro espressività (per le quali rimando a J. Macek, Tábor v husitskím revolucním hnutí, cit., I, p. 379 ss.) mi limito
qui all'articolo dei Taboriti millenaristici riportato nella cronaca di Lorenz von Brezova, Historia Hussitica, cit., pp. 413-424
(per altre forme, tradizioni e edizioni cfr. H. Kaminsky, Chiliasm and
the Hussite Revolution, in «Church History», 26, 1957, pp. 67 ss., nota
54).
[44] I Wirsberghesi (Clm 18930 fol. 84r):
«Omnis nobilitas revertetur ad civitates»; i Taboriti (Lorenz von Brezova, Historia
Hussitica, cit., p. 414): «Item quod in toto christianismo hoc tempore
ultionis quinque tantummodo civitates corporales remanebunt, ad quas fideles
debent confugere et ibi salvari aliis omnibus ut Sodomis peremptis et
subversis». Le "cinque città" (una della quali sarebbe la civitas
solis escatologica e ben nota per i modelli di utopia anche dell'età
moderna) sono naturalmente un'allusione a Isaia 19,18. Assai meno facile da
interpretare è l'articolo di fede alquanto enigmatico dei Wirsberghesi.
[45] Nikolaus
Glassberger, Chronik, cit., p.
425 ( in termini analoghi Clm 18930 fol. 84v): «Quod sequaces illius secte non
debent contendere cum contradicentibus. Unde dicunt: Quicumque noluerit
recipere fidem, dimittatur in suo errore».
[46] A questo proposito anche R. Kestenberg-Gladstein, The « Third Reich», cit., pp. 256 s.
[47] In questo contesto è interessante il fatto che il Vade mecum in tribulatione di Jean de
Roquetaillade sia stato tradotto in ceco già alla fine del XIV secolo; cfr. J. Macek, Tábor v husitskím revolucním hnutí, cit., I, p. 148, con riferimento a R. Urbanek,
K české pověsti královské, V.
Čéská proroctví a pověst královská, in «Časopis společnosti
přátel starožitností českych», 25, 1917, qui pp. 6574, soprattutto p.
68. La popolarità di Rupescissa in Boemia è documentata anche da una profezia
ceca sviluppatasi al più tardi verso la metà del XV secolo a proposito del suo
nome: cfr. ms Třeboň (Wittingau), Staatsarchiv, A 7 fol. 286 (seconda
metà del XV secolo, dalla proprietà del celebre
umanista UIrich Crux von Telč [Oldfich Křiž z Telče] edito
da F. Menčik, Ceská proroctví. Přispěvek k dějinám prostonárodní literatury, Videň,
1879, pp. 1719; cfr. inoltre ibidem, p.
5 (sul ms cfr. la de scrizione di J. Weber,
Soupis rukopisú Státního archivu v
Třeboni, in Soupis rukopisú
v Třeboni a v Ceském Krumlové, Praha 1958, pp. 63-94, qui p. 93). La
popolarità dell'opera suddetta in Boemia nel corso del XV secolo è documentata
fra l'altro da glosse in margine sul risvolto interno del ms Praga, Metr. Bibl.
A 96; cfr. il catalogo di Ad. Patera
- Ant. Podlaha, Soupis rukopisù knihovny metropolítní kapitoly
pratské, Parte I, Praha 19 10, p. 129. Cfr. anche M. REEVES, The Influence of Prophecy, cit., p. 371,
che richiama l'attenzione su una profezia di Rupescissa pubblicata, sulla base
di un manoscritto del monastero di Plass, da W. Lazius, Fragmentum
vaticinii cuiusdam ... Methodii .... Wien 1527, f. Mv. Lo studio su
Jean de Roquetaillade e altre profezie gioachimite in Boemia, segnalato da R. Kestenberg-Gladstein, The « Third Reicb», cit., pp. 287 a nota
88, previsto per la «Slavonic and East European Review», non risulta essere apparso.
[48] Si potrebbe peraltro pensare
comunque alla possibilità che esista un collegamento fra Matthias von Janov, le
cui idee hanno fortemente influenzato
l'ussitismo, e le idee millenaristiche del taboritismo. Si tratterebbe in
questo caso naturalmente solo di una relazione assai indiretta, in quanto l'idea che Matthias von
Janov aveva dell'Anticristo era assai diversa da quella che avevano i
millenaristi di Tabor.
[49] R. E. Lerner, The Heresy of
the free Spirit in the Later MiddIe Ages, Berkeley - Los Angeles 1972, pp.
119 ss, dimostra in modo convincente che la provenienza delle idee chiliastiche
dei Taboriti radicali screditati come
«Piccardi» e «Adamiti» non va cercata
né nell'ambiente dell'eresia dei libero spirito né in Piccardia.